(b. Milano, Italia, probabilmente 1598; d. Bologna, Italia, 30 novembre 1647). matematica.
La data di nascita di Cavalieri è incerta; la dale sopra riportata è quella citata da Urbano d’Aviso, discepolo e biografo di Cavalieri. Il nome Bonaventura non era il suo nome battesimale ma quello di suo padre. È il nome che il matematico adottò quando, da ragazzo, entrò nell’ordine religioso dei Gesuiti, aderenti alla regola di Sant’Agostino. Nel 1615 fu accolto negli ordini minori di Milano e nel 1616 fu trasferito al monastero dei Gesuiti di Pisa, dove ebbe la fortuna di incontrare il monaco benedettino Benedetto Castelli, che aveva studiato con Galileo a Padova e all’epoca era docente di matematica a Pisa. Attraverso di lui Cavalieri è stato avviato allo studio della geometria. Ha rapidamente assorbito le opere classiche di Euclide, Archimede. Apollonio, e Pappo, dimostrando tale eccezionale attitudine che a volte ha sostituito il suo insegnante presso l’Università di Pisa. Fu introdotto da Castelli a Galileo, il cui discepolo considerò sempre se stesso. Scrisse a Galileo almeno 112 lettere, che sono incluse nell’edizione nazionale delle Opere di Galileo; solo due delle lettere di Galileo ai Cavalieri sono giunte fino a noi.
Nel 1620 Cavalieri tornò a Roma, sotto gli ordini dei suoi superiori, e nel 1621 fu ordinato diacono Cardinale Federigo Borromeo, che teneva Fra’ Bonaventura in grande stima e volentieri discusso matematica con lui, il cardinale, successivamente, ha scritto una lettera lodandolo per Galileo. Cavalieri aveva appena ventuno anni quando insegnò teologia nel monastero di San Girolamo a Milano, attirando l’attenzione per la sua profonda conoscenza della materia.
Durante il suo periodo milanese (1620-1623) Cavalieri sviluppò le sue prime idee sul metodo degli indivisibili, il suo principale contributo alla matematica. Dal 1623 al 1626 fu priore di San Pietro a Lodi. In seguito fu ospite a Roma di Monsignor Ciampoli, al quale in seguito dedicò la sua Geometria. Dal 1626 al 16291 fu priore del monastero dei Gesuati di Parma, sperando invano di essere nominato docente di matematica presso l’università. Nell’autunno del 1626, durante un viaggio da Parma a Milano, si ammalò di gotta, di cui soffriva fin dall’infanzia e che lo affliggerà fino alla fine della sua vita. Questa malattia lo trattenne a Milano per alcuni mesi. Il 16 dicembre 1627 annunciò a Galileo e al cardinale Borromeo di aver completato la sua Geometria. Nel 1628, apprendendo che un posto di docente a Bologna era diventato vacante a causa della morte dell’astronomo G. A. Magini, scrisse a Galileo per assistenza nel garantire la nomina. Galileo, nel 1629, scrisse a Cesare Marsili, gentiluomo bolognese e membro dell’Accademia dei Lincei, incaricato di trovare un nuovo docente di matematica. Nella sua lettera, Galileo ha detto di Cavalieri, ” pochi, se non del tutto, dopo Archimede, hanno approfondito la scienza della geometria.”A sostegno della sua applicazione alla posizione di Bologna, Cavalieri inviato Marsili suo manoscritto geometria e un piccolo trattato sulle sezioni coniche e le loro applicazioni in ottica. La testimonianza di Galileo, come gli scrisse Marsili. Indusse i “Signori del Reggimento” ad affidare la prima cattedra di matematica ai Cavalieri, che la tennero ininterrottamente dal 1629 alla morte.
Nello stesso periodo fu nominato priore di un convento del proprio ordine a Bologna, in particolare, presso la Chiesa di Santa Maria della Mascarella, consentendogli di perseguire senza alcun impedimento sia il suo lavoro in matematica che il suo insegnamento universitario. Durante il periodo in cui Cavalieri insegnò a Bologna, pubblicò undici libri in quella città, tra cui la Geometria (1635).
La teoria di Cavalieri, così come sviluppata in questo lavoro e in altri pubblicati successivamente, si riferisce ad un’indagine in infinitesimi, derivante da un rinnovato interesse per le opere di Archimede, che durante il Rinascimento furono tradotte dal greco in latino, con commenti. Le traduzioni di Tartaglia, Maurolico, e Commandino sono citati in quanto hanno servito come punto di partenza per i nuovi sviluppi matematici.
Gli unici scritti di Archimede noti ai matematici del XVII secolo erano quelli basati sul rigoroso metodo di esaurimento, con il quale gli antichi matematici affrontavano questioni di carattere infinitesimale senza ricorrere all’infinito o all’infinitesimo effettivo. Tuttavia, i grandi matematici del XVII secolo sono stati così accuratamente pervasi con lo spirito di Archimede da apprezzare che oltre al “metodo di esaurimento” gli antichi geometrici devono aver conosciuto un metodo più gestibile ed efficace per la ricerca. Su questo punto Torricelli ha scritto:
Non dovrei osare affermare che questa geometria degli indivisibili è in realtà una nuova scoperta. Dovrei piuttosto credere che gli antichi geometrici si sono avvalsi di questo metodo per scoprire i teoremi più difficili, anche se nella loro dimostrazione potrebbero aver preferito un altro modo, per nascondere il segreto della loro arte o per non permettersi alcuna occasione di critica da parte di detrattori invidiosi. Qualunque cosa fosse, è certo che questa geometria rappresenta una meravigliosa economia del lavoro nelle dimostrazioni e stabilisce innumerevoli, quasi imperscrutabile, teoremi per mezzo di breve, diretto, e dimostrazioni affermative, che la dottrina degli antichi era incapace di. La geometria degli indivisibili era infatti, nel cespuglio di radica matematica, la cosiddetta strada reale, e quella che Cavalieri aprì per la prima volta e presentò al pubblico come un dispositivo di meravigliosa invenzione .
Nel 1906 J. L. Heiberg trovato, in un palinsesto appartenente ad una biblioteca di Costantinopoli, una piccola opera di Archimede sotto forma di una lettera a Eratostene, che ha spiegato un metodo con cui sono come, volumi, e centri di gravità potrebbe essere determinato. Questo metodo, che a sua volta era correlato alle procedure di Democrito di Abdera, considerava una superficie piana come composta da accordi paralleli a una data linea retta, e solidi come costituiti da sezioni piane parallele l’una all’altra. Inoltre, secondo Archimede, venivano applicati i principi della statica, dove le figure, pensate come corpi pesanti, venivano pesate in una scala ideale. “Io credo-disse Archimede-che gli uomini del mio tempo e del futuro, e attraverso questo metodo, possano trovare ancora altri teoremi che non mi sono ancora venuti in mente” (Rufini, II “Metodo” di Archimedee le origini del calcolo infinitesimale nell’antichità , p. 103). La sfida che Archimede estese non fu ripresa, come sappiamo, dai suoi contemporanei e cadde nell’oblio per molti secoli.
Il concetto di indivisibili compare talvolta fugacemente nella storia del pensiero umano: ad esempio, in un passo del filosofo e matematico ebraico dell’XI secolo Abraham bar Hiyya (Savasorda); in speculazioni occasionali-più filosofiche che matematiche—degli scolastici medievali; in un passo di Leonardo da Vinci; nella Nova stereometria doliorum di Keplero (Linz, 1615). Per una concezione diversa da quella di Cavalieri, gli indivisibili sono trattati da Galileo nei suoi Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze.
In Cavalieri si giunge ad una sistematizzazione razionale del metodo degli indivisibili, un metodo che non solo è ritenuto utile nella ricerca di nuovi risultati ma anche, contrariamente a quanto ipotizzato da Archimede, è considerato valido, se opportunamente modificato, ai fini della dimostrazione dei teoremi.
A questo punto sorge una domanda primaria: che significato attribuiva Cavalieri ai suoi indivisibili? Questo matematico, pur conoscendo perfettamente le sottili questioni filosofiche connesse al problema della possibilità di costituire grandezze continue da indivisibili, cerca di stabilire un metodo indipendente dalle ipotesi del soggetto, che sarebbe valido qualunque sia il concetto formato in questo senso. Mentre Galileo affermava che “Il più alto e l’ultimo, sebbene componenti primarie del continuo, sono indivisibili infiniti” (Opere, VII, 745-750),
Cavalieri non osò affermare che il continuo è composto da elementi indivisibili, sui quali non diede una definizione esplicita, né chiarì se fossero infinitesimi reali o potenziali. E ‘ anche probabile che Cavalieri concezione dei suoi indivisibili subito un cambiamento e che questi sono nati come infinitesimi reali (come quelli di Galileo) e cresciuto fino a diventare potenziali infinitesimi (vedi G. Cellini). Va inoltre sottolineato, secondo L. Lombardo Radice, che la visione dei Cavalieri degli indivisibili ci ha dato una concezione più profonda degli insiemi: non è necessario che gli elementi dell’insieme siano assegnati o assegnabili; basta piuttosto che esista un criterio preciso per determinare se un elemento appartenga o meno all’insieme.
Al di là di qualsiasi considerazione filosofica sulla natura degli indivisibili, le determinazioni di area e volumi fatte da Cavalieri si basano sul principio che porta il suo nome, che può essere formulato come segue:
Se due figure piane tagliate da un insieme di linee rette parallele si intersecano, su ciascuna di queste linee rette, accordi uguali, le due figure sono equivalenti; se gli accordi appartenenti a una singola linea retta dell’insieme hanno un rapporto costante, lo stesso rapporto si ottiene tra le due figure.
Allo stesso modo, nello spazio: se le sezioni di due solidi ottenuti per mezzo di piani paralleli tra loro sono equivalenti due a due, i due solidi sono equivalenti; se le due sezioni ottenute con un dato piano hanno un rapporto costante quando il piano è variato, i due solidi hanno un rapporto uguale a quello di due delle loro sezioni ottenute con uno stesso piano.
Dal punto di vista della moderna analisi infinitesimale, il principio Cavalieri afferma in sostanza che due integrali sono uguali se gli integrandi sono uguali e anche i limiti di integrazione sono uguali. Inoltre, una costante che appare come un moltiplicatore nell’integrando può essere effettuata del segno di integrazione senza far variare il valore dell’integrale.
Tuttavia, il concetto di integrale, secondo la definizione di A. Cauchy, non era precisamente nel pensiero matematico di Cavalieri, ma piuttosto è stato esaminato da P. Mengoli, suo discepolo e successore nella cattedra di Bologna. Cavalieri perseguito molti percorsi per dimostrare il suo principio, e si trovano nel Libro VII della sua Geometria.
Consideriamo il caso della geometria piana, dove, sulle ipotesi del principio dichiarato, gli accordi corrispondenti delle figure date sono uguali a coppie (vedi Fig. 1). Cavalieri poi, attraverso una traduzione in direzione delle rette parallele in questione, sovrappone due accordi uguali. Le parti della figura che così si sovrappongono sono quindi equivalenti o, piuttosto, uguali, perché congruenti. Le parti rimanenti, o residui, che non sono sovrapposti, soddisferanno comunque le condizioni relative agli accordi che sono stati soddisfatti nella figura originale. In questo modo, si può procedere con sovrapposizioni successive per traduzione, ed è impossibile in un dato punto delle operazioni successive che una figura sia esaurita a meno che non lo sia anche l’altra. Cavalieri conclude
che le cifre date sono quindi equivalenti. L’argomento è ingegnoso e intuitivo, ma contiene un punto debole in quanto non è dimostrato che i residui,nelle operazioni descritte, si esauriscano ;né è stabilito che la somma di tali residui possa essere resa inferiore a una data superficie. Tuttavia, Cavalieri, nel rispondere alle obiezioni sollevate da Guldin, sostiene che l’eliminazione dei residui in una delle figure, quindi nell’altra, può essere eseguita per mezzo di operazioni infinite. L’altra dimostrazione
del principio Cavalieri è fatta con il metodo di esaurimento degli antichi ed è rigorosa per le figure che soddisfano determinate condizioni: vale a dire, la dimostrazione è valida per le figure che, oltre a soddisfare l’ipotesi del principio, rientrano in una delle seguenti classi:
(1) Parallelogrammi generalizzati, cioè figure incluse tra rette parallele p e l che intersecano accordi di lunghezza costante su linee rette che corrono nella stessa direzione di p e l (vedi Fig. 2).
(2)Le figurae in alteram partem deficientes (“figure carenti in un’altra parte”) sono incluse tra due linee parallele p e l e, inoltre, gli accordi intercettati da una linea trasversale parallela a p diminuiscono all’aumentare della distanza della trasversale dalla retta p (vedi Fig. 3).
(3) Figure che possono essere suddivise in un numero finito di parti appartenenti a una delle due classi summenzionate (vedi Fig. 4).
Nonostante le dimostrazioni menzionate e il successo del metodo degli indivisibili, i matematici contemporanei, che erano più attaccati alle tradizioni della matematica classica, entrarono in polemica con Cavalieri, ignari che Archimede stesso aveva già usato metodi simili a quelli che si opponevano. È il caso di Guldin, che ebbe un’interessante discussione con Cavalieri che si riassume nell’esercizio III delle Exercitationes geomeiricae sex.
Molti risultati che sono stati faticosamente ottenuti con il metodo dell’esaurimento sono stati ottenuti semplicemente e rapidamente attraverso il principio Cavalieri: ad esempio, l’area di un’ellisse e il volume di una sfera. Attraverso i suoi metodi, Cavalieri aveva trovato il risultato che nei simboli odierni sarebbe stato espresso come:
per qualsiasi numero naturale n (n = 1,2,3,…). Cavalieri non sapeva che questo risultato, che compare nella Centuria di varii problemi (1639), era già stato trovato già nel 1636 da Fermat e Roberval, che vi erano arrivati con altri mezzi.
Con il metodo degli indivisibili e basato su un lemma stabilito dal suo allievo G. A. Rocca, Cavalieri dimostrò il teorema di Guldin sull’area di una superficie e sul volume dei solidi rotanti. Questo teorema, che appare anche in alcune edizioni di Pappus ‘ opere, anche se ritenuta un’interpolazione, è stato enunciato nel Centrobaryca di Guldin, che ha dimostrato la sua correttezza in alcuni casi particolari, senza, tuttavia, fornire la prova generale.
Il progresso più significativo nel campo dell’analisi infinitesimale lungo le linee esposte da Cavalieri è stato compiuto da Evangelista Torricelli. Nel suo Arithmetica infinitorum (1655), John Wallis fa anche uso di indivisibili.
Particolarmente interessante è l’opinione del metodo Cavalieri espressa da Pascal nei suoi Letires de Dettonville (1658): “Tutto ciò che è dimostrato dalle vere regole degli indivisibili sarà anche e necessariamente dimostrato alla maniera degli antichi. Per questo motivo, in quanto segue, non esiterò ad usare il linguaggio stesso degli indivisibili.” Anche se negli anni successivi nel campo dell’analisi infinitesimale, nuove idee sostituito il vecchio sul indivisibili, i metodi di Cavalieri e Torricelli esercitato una profonda influenza, come Leibniz riconosciuto in una lettera a G. Manfredi: “… nel sublimest di geometria, gli iniziatori e promotori che hanno svolto un yeoman attività in quel campo erano Cavalieri e Torricelli; in seguito, anche altri progredito ulteriormente avvalendosi dell’opera di Cavalieri e Torricelli.”Inoltre, Newton, pur assumendo nei suoi Principia un atteggiamento critico in materia di indivisibili, ha tuttavia nel suo Tractatus de quadratura curvarum, utilizzare il termine fluens per indicare una grandezza variabile-un termine precedentemente utilizzato da Cavalieri nel suo Exerciiationes geomeiricae sesso.
Nella proposizione I del Libro I della Geometria, troviamo in forma geometrica il teorema del valore medio, noto anche come teorema dei Cavalieri. Il teorema è presentato come la soluzione del seguente problema: Data una curva piana, fornito con una tangente in ogni punto e passante per due punti A e B, per trovare una retta parallela ad AB e la retta tangente alla curva ad un certo punto sulla curva tra A e B. Analiticamente abbiamo: Se la funzione reale f(x) della variabile reale x è continua nell’intervallo (a, b), e in ogni punto all’interno di questo intervallo è derivabile, almeno un punto del presente tale che un<<b, in modo che
i Logaritmi sono stati introdotti in matematica nell’opera di Napier nel 1614. In Italia tali validi ausiliari al calcolo numerico furono introdotti da Cavalieri, insieme a notevoli sviluppi nella trigonometria e nelle applicazioni all’astronomia. A questo proposito possiamo citare Directorium generale uranometricum (1632), Compendio delle regole dei triangoli (1638), Centuria di varii problemi (1639), Nuova pratica astrologica (1639), e Trigonometria plana, et sphaerica, linearis et logarithmica (1643). Il Directorium, la Pratica e la Trigonometria contengono, inoltre, eccellenti tavole logaritmiche trigonometriche.
Nella Centuria, Cavalieri trattò argomenti come la definizione generale delle superfici cilindriche e coniche, le formule per determinare il volume di una botte e la capacità di una volta ad archi ogivali, e i mezzi per ottenere dai logaritmi di due numeri il logaritmo della somma o della differenza, un problema che fu successivamente ripreso da vari matematici. Gauss tra gli altri. Lo specchio ustorio contiene alcuni interessanti dati storici sull’origine della teoria delle coniche tra i Greci; secondo Cavalieri, le origini sono da ricercarsi nelle esigenze gnomoniche. In questo lavoro, troviamo una teoria delle coniche con applicazioni all’ottica e all’acustica. Tra i primi, notiamo l’idea del telescopio riflettente, di cui—secondo Piola e Favaro-Cavalieri fu il primo inventore, precedendo Gregory e Newton; determinazione della lunghezza focale di una lente di sfericità irregolare ed esplicazioni del vetro ardente di Archimede, Nel campo dell’acustica, Cavalieri tentò la ricostruzione archeologica dei vasi risonanti citati da Vitruvio e utilizzati nei teatri per amplificare il suono.
In questo lavoro, appaiono varie costruzioni puntuali di coni. Ancora più interessanti sono le costruzioni date nella Geometria e nelle Exercitationes, ottenute per mezzo di matite proiettive che precedevano il lavoro di Steiner.
Una questione delicata riguarda le attività astrologiche che Cavalieri svolgeva in virtù del suo ufficio, ma, come sottolineato da D’Aviso, si opponeva alle predizioni basate sulla posizione delle stelle e lo afferma alla fine della sua Pratica astrologica.
BIBLIOGRAFIA
I. Opere originali. Le opere di Cavalieri includono Directorium generate uranometricum (Bologna, 1632); Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota Bologna, 1635; 2nd ed., 1653). Tradotto in russo da S. J. Lure (Mosca-Leningrado, 1940). Translated into Italian, by Lucio Lombardo-Radice, as Geometria degli indivisibili di Bonaventura Cavalieri, with introduction and notes (Turin, 1966). Compendio delle regole dei triangoli con le loro dimostrationi (Bologna, 1638); Centuria di varii problemi (Bologna, 1639); Nuova pratica astromlogica (Bologna, 1639); Tavola prima logaritmica. Tavola seconda logaritmica. Annotationi nell’opera, e correttioni de gli errori più notabili (Bologna, n. d.); Appendice della nuova pratica astrologica (Bologna. 1640); Triganometria plana, et sphaerica, linearis et logarithmica (Bologna, 1643); Trattato della ruota planetaria perpetua (Bologna, 1646); Exercitationes geometricae sex (Bologna, 1647).
II. Secondary Literature. See U. D’Aviso, “Vita del P. Buonaventura Cavalieri”, in Trattato della Sfera (Rome 1682); G. Piola, Elogio di Bonaventura Cavalieri (Milan, 1844); A. Bonaventura Cavalieri nello studio di Bologna (Bologna, 1885); E. Bortolotti, “I progressi del metodo infinitesimale nell’opera geometrica di Torricelli”, in Periodico di matermatiche, 4th ser., 8 (1928), 19–59; “La Scoperta e le successive generalizzazioni di un teorema fondamentale di calcolo integrale”, in Archivio di Storia della scienza (1924), pp. 205–227; F. Conforto, “L’opera scientifica di Bonaventura Cavalieri e di Evangelista Torricelli”, in Atti del Convegno di Pisa (23–27 Sept. 1948), pp. 35–56; A. Masotti. “Commemorazione di Bonaventura Cavalieri”, in Rendiconli dell’lstituto Lombardo di scienze e lettere, parte generable e atti ufficiali, 81 (1948), 43–86; G. Castelnuovo, Le origini del calcolo infinitesimale nell’era moderna (Milan, 1962), pp. 43–53; G. Cellini. “Gli indivisibili nel pensiero matematico e filosofico di Bonaventura Cavalieri”, in Periodico di matematiche, 4th ser., 44 (1966), 1–21; “Le dimostrazioni di Cavalieri del suo., principle”, ibid., pp. 85– 105.
Ettore Carruccio